Quasi fosse uno dei degli dei minori dell’Olimpo, il principio dell’accesso al mercato di cui all’art. 3 del D.lgs. 36/2023 (secondo cui ” […] le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità […] “), da “superprincipio” qual è (in virtù dell’investitura ricevuta dall’art. 4, che gli conferisce, assieme al principio del risultato ed al principio della fiducia, l’attitudine ad orientare l’interpretazione e l’applicazione di tutte le altre disposizioni del Codice), sembra aver goduto di bassa fortuna mediatica.

Non molti, infatti, hanno colto che comeil principio del risultato, ispirato ad una logica di tipo economicistico, pare erodere il principio di legalità (seppur con molti caveat: non è però questa la sede per parlarne), il principio dell’accesso al mercato fagocita, sublima, ingloba, incorpora, assorbe il principio di concorrenza, analogamente ispirato ad una logica (epistemologicamente evoluta) per cui la concorrenza non è il mercato e, conseguentemente, tutelare la concorrenza non equivale a tutelare il mercato.
Il cambio di rotta del legislatore dall’art. 3 va invece apprezzato quale parte coerente di una visione più ampia in cui la concorrenza viene è ridimensionata perchè vista come uno strumento (non sempre necessario) di raggiungimento dell’obiettivo della tutela del mercato, così come il principio del risultato eviterebbe controintuitività e pastoie procedurali derivanti da una applicazione iperformalistica delle norme.

Sul piano pratico, il principio dell’accesso al mercato potrebbe e/o dovrebbe operare in almeno tre modi.
Il primo modo, già noto (sicuramente in quanto declinazione del principio della concorrenza e quindi pienamente coerente con lo stesso), consiste nell’impedire che stazioni appaltanti ed enti concedenti possano prevedere requisiti di partecipazione eccessivamente restrittivi: la questione, già risolta attraverso il sistema delle SOA per i contratti di lavori, pare ancora piuttosto scoscesa per servizi e forniture, che si prestano, per la loro struttura e la loro funzione, ad atteggiamenti da parte di chi indice la procedura troppo severi o troppo indulgenti da parte di chi indice la procedura di affidamento.
Il secondo modo, anch’esso “rodato“, consiste in quel complesso di tecniche argomentative volte a rintracciare ovunque (e forse “quantunque“) il c.d. favor partecipationis.
Il terzo modo, a parer mio figlio di questa nuova impostazione, consiste invece nella possibilità, per stazioni appaltanti ed enti concedenti, di favorire l’ingresso di nuovi operatori economici, sottraendoli magari ad un confronto competitivo che desse troppa enfasi ad un dato curriculare concentrato per forza di cose sul passato, anziché sul futuro (la quale è, tra l’altro, la dimensione del giovani e giovanissimi di oggi). La Stazione Appaltante, in altri termini, potrebbe ben affidare direttamente un appalto ad un operatore economico neo-costituito, che però dimostrasse di avere tutte le carte in regola per l’esecuzione dell’appalto, magari proprio in ragione degli specifici curricula professionali coinvolti. O, ancora, la Stazione Appaltante potrebbe selezionare gli operatori economici da invitare ad una procedura negoziata privilegiando elementi quale la “limitata anzianità nel settore” (un po’ come il c.d. “tecnico giovane“), o comunque riservando una quota di inviti a soggetti interessanti in prospettiva.

Nei prossimi mesi, e con l’avvento della nuova giurisprudenza, vedremo il da farsi.