0. Introduzione
Di importanza nevralgica nell’intero sistema delineato dal D.lgs. 36/2023, l’art. 50 c. 1, rubricato “Procedure per l’affidamento“, ha destato un fortissimo dibattito in ordine alla ragionevolezza ed alla opportunità di prescrizioni che, frutto in linea di massima di un processo di attrazione nell’ordinario di quanto previsto dall’art. 1 c. 2 D.L. 76/2020 in un momento di straordinaria straordinarietà, prevedono soglie obiettivamente alte per l’affidamento diretto e per le procedure negoziate e spostano quindi molto più in là l’ambito di applicazione delle procedure ordinarie di cui agli artt. 70-75 (tra cui spicca la procedura ordinaria principe, ovvero la “procedura aperta“).
Di seguito il testo dell’art. 50 c. 1 D.lgs. 36/2023.
“1. Salvo quanto previsto dagli articoli 62 e 63, le stazioni appaltanti procedono all’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 14 con le seguenti modalità:
a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante;
b) affidamento diretto dei servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 140.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali, anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante;
c) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro;
d) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14, salva la possibilità di ricorrere alle procedure di scelta del contraente di cui alla Parte IV del presente Libro;
e) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 140.000 euro e fino alle soglie di cui all’articolo 14“.
Il terreno del dibattito (politico, ancor prima che giuridico) è stato (ed è) principalmente rivolto ad una censura di ciò che l’Amministrazione potrebbe fare: si stigmatizzava (e si continua a stigmatizzare) ad es. che l’Amministrazione potrebbe affidare direttamente servizi fino a 140.000 euro, o potrebbe affidare lavori fino alla soglia comunitaria (attualmente la soglia per i lavori è 5.382.000 euro) con una procedura negoziata invitando solo dieci operatori economici.
Alcuni, tuttavia, tra cui lo scrivente, si sono occupati anche di ciò che, in virtù dell’art. 50 c. 1 D.lgs. 36/2023, l’Amministrazione non potrebbe fare.
Il tema di ciò che, ex art. 50 c. 1, l’Amministrazione non potrebbe fare consiste nella seguente domanda:
può l’Amministrazione adottare procedure con una maggiore attitudine pro-concorrenziale diversamente da quanto testualmente previsto nel citato comma?
Ad es., potrebbe l’Amministrazione adottare una procedura negoziata in luogo di un affidamento diretto per servizi di € 100.000? Ad ulteriore esempio: potrebbe l’Amministrazione ricorrere ad una procedura aperta per l’affidamento di lavori di € 500.000?
Questo tema è un po’ più complesso sul piano giuridico e richiede un’attenta analisi. In questo articolo intendo ritornarvi, stavolta però in modo molto più approfondito. Questo articolo, a differenza di diversi miei altri articoli, non ha natura divulgativa, ma ha un taglio critico e specialistico: mi scuso quindi fin da subito per la complessità e per la lunghezza dello stesso.
1. La tesi negativa
La risposta più naturale da darsi in base ad un’analisi testuale-strutturale è, sorprendentemente (soprattutto alla luce della formidabile forza che ha da sempre rivestito il principio di concorrenza in ambito comunitario), negativa: l’Amministrazione, cioè, non avrebbe la facoltà di scegliere procedure diverse da quelle descritte (e prescritte) all’art. 50 c. 1. Questa conclusione riposa, essenzialmente ed in linea di massima, sulle seguenti considerazioni.
1.1 In primo luogo, l’art. 50 c. 1 prevede la salvezza del ricorso alle procedure ordinarie nel solo caso di cui alla lettera d) (ovvero per l’affidamento di lavori sottosoglia comunitaria di importo superiore ad € 1.000.000), ma non prevede questa facoltà nelle altre ipotesi (cioè quelle di cui alle lettere “a“, “b“, “c” ed “e” del comma 1 dell’art. 50) e, volendo essere ancora più sottili, non prevede nemmeno la facoltà più generale di discostarsi in senso proconcorrenziale adottando una procedura negoziata in luogo di un affidamento diretto.
Ubi lex voluit, dixit; ubi noluit, tacuit. Se il legislatore avesse voluto conferire la facoltà di adottare procedure diverse anche nelle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), e), lo avrebbe detto. Ciò però non è avvenuto: conseguentemente, l’Amministrazione non può che adottare le procedure previste per il caso in esame.
1.2 In secondo luogo, l‘art. 50 c. 1 si trova all’interno della parte I del libro II del nuovo Codice.
Tale parte, rubricata “Dei contratti di importo inferiore alle soglie europee“, costituisce un’innovazione normativa apprezzabile innanzitutto sul piano strutturale, nel senso che si è inteso costruire uno statuto specifico dei contratti sotto-soglia dandovi anche una precisa dignità topografica: mentre nelle precedenti esperienze codicistiche le norme relative agli appalti sottosoglia si trovavano passim nel codice all’interno degli articoli che regolavano le varie fattispecie, qui invece il legislatore vi ha dedicato uno specifico spazio.
Le conseguenze di questa scelta, tuttavia, si colgono al di là della mera comodità espositiva. L’art. 48 c. 4, infatti, sembra conferire una particolare forza alle norme della parte I del libro II, quando statuisce che ” […] ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice […] “.
Il regime dell’art. 50 (in quanto contenuto nella parte I del libro II) è quindi derogatorio rispetto a quello ordinario. Quando si ha una deroga, il rapporto tra la norma derogante e la norma derogata va strutturato in termini di specialità della prima rispetto alla seconda e, soprattutto, l’antinomia tra l’una e l’altra va risolta in virtù del criterio di specialità.
Dunque: si applica l’art. 50 c. 1, perchè norma derogante e norma speciale, e se l’art. 50 c. 1 non prevede la possibilità di adottare procedure diverse rispetto a quelle ivi indicate, allora l’Amministrazione non potrebbe farlo, anche in omaggio al principio di legalità.
1.3 In terzo luogo, la tesi negativa riposa su quella sorta di interpretazione para-autentica che ha fornito lo stesso Consiglio di Stato nella relazione di accompagnamento allo schema definitivo di codice dei contratti pubblici.
“Il comma 1, lett. d) prevede che, in ipotesi di lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie europee, la stazione appaltante, in luogo del ricorso alla procedura negoziata senza bando, possa utilizzare le procedure ordinarie, «previa adeguata motivazione». La disciplina del sottosoglia di cui al decreto legge n. 76 del 2020 (art. 1, comma 2) non contemplava il possibile ricorso alle procedure ordinarie, ciò al fine di imporre l’utilizzo delle procedure semplificate, da cui talvolta le stazioni appaltanti tendono a sfuggire, temendo i maggiori margini di discrezionalità da esse offerti. Al contrario, l’art. 36, comma 2 del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevedeva l’utilizzo delle procedure ordinarie come facoltà sempre percorribile dalla stazione appaltante («salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie»). Nel comma 1, lett. d), in esame si è percorsa una via mediana, costituita dalla possibilità per le stazioni appaltanti, per gli appalti di lavori sottosoglia di importo più significativo, di impiegare le procedure ordinarie, ma «previa adeguata motivazione». Si tratta cioè non di libera opzione, ma della possibilità di accedere alle più complesse procedure ordinarie in esito a una specifica motivazione delle ragioni tecniche che, nel singolo caso, rendono preferibile – effettuato il dovuto bilanciamento degli interessi pubblici in gioco – l’utilizzo del più garantistico, ma più complesso, procedimento ordinario di gara“.
Il Consiglio di Stato lascerebbe intendere che la previsione della salvezza del ricorso alle procedure ordinarie di cui alla lettera d) rappresenti una “via mediana“, i cui estremi sono rappresentati:
- dall’apparato normativo dell’art. 1, c. 2, D.L. 76/2020 in cui le procedure semplificate sono imposte, senza alcuna possibilità di discostarsi dalle stesse;
- dall’apparato normativo di cui all’art. 36 D.lgs. 50/2016, in cui invece le procedure ordinarie erano sempre fatte salve.
Si sarebbe cioè inteso dare alle Amministrazioni (che, sempre il Consiglio di Stato, tenderebbero talvolta a “sfuggire” alle procedure semplificate, ” […] temendo i maggiori margini di discrezionalità da esse offerti […] ) la possibilità di ricorrere alle più rassicuranti procedure ordinarie solo per i lavori sottosoglia di importo più significativo, precisando, tra l’altro, che tale possibilità non va considerata come una “libera opzione“, perchè occorrerebbe una “previa adeguata motivazione“.
La tesi negativa veniva anche sposata dal sottoscritto (v. la seguente “pillola“: Affidamento degli appalti sottosoglia e possibilità di deroga in senso proconcorrenziale – News Contratti Pubblici), ma propugnavo (proprio nel video sopra citato) soluzioni che, di fatto, potessero avvicinare quoad effectum la procedura formale prevista dall’art. 50 c. 1 e quella che, in base ad un’opzione assiologica relativo al caso concreto, si ritiene più appropriata.
In particolare, proponevo ad es. che:
- riguardo gli affidamenti diretti (specie di importo elevato), l’Amministrazione potesse prudentemente e previamente svolgere una consultazione con un congruo numero di operatori economici, indicando come criterio di scelta (tecnicamente per gli affidamenti diretti non può parlarsi di “criterio di aggiudicazione“) o il criterio del prezzo più basso sic et simpliciter, o comunque un set multicriterio organizzato per griglie e con formule relative ad aspetti numericamente esprimibili (al fine di eliminare la discrezionalità tipica della valutazione dell’analoga offerta economicamente più vantaggiosa);
- riguardo le procedure negoziate, l’Amministrazione potesse invitare un numero consistente di operatori economici all’interno di un articolato sistema di rotazione, che potesse avvicinare il valore probabilistico atteso di aggiudicazione partecipando alle procedure negoziate al valore probabilistico atteso di aggiudicazione partecipando alle procedure aperte.
2. La tesi positiva
Non è mancato, tuttavia, chi ritiene possibile il ricorso alle procedure ordinarie anche al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 50 c. 1 lett. d) D.lgs. 36/2023. Questa posizione è ben esemplificata da Luigi Olivieri, il quale con diversi articoli (ne cito due tra i più recenti: https://leautonomie.asmel.eu/procedure-emergenziali-ed-affidamenti-diretti-si-conferma-che-non-sono-obbligatori-le-procedure-ordinarie-sempre-possibili/ nonchè https://leautonomie.asmel.eu/procedure-emergenziali-ed-affidamenti-diretti-si-conferma-che-non-sono-obbligatori-le-procedure-ordinarie-sempre-possibili/ ), suffraga la conclusione predetta nei termini che mi permetto di sintetizzare, tentando di riuscire a coglierne la pregnanza argomentativa e scusandomi anticipatamente per le licenze di riformulazione che mi prenderò, in quanto funzionali al presente articolo (come si vedrà, il modello interpretativo che propongo risente di quanto esposto in questo paragrafo).
2.1 In primo luogo, la disposizione di cui all’art. 50 si inscrive all’interno di un sistema articolato e consolidato di principi che innervano architettonicamente tutto il diritto dei contratti pubblici, anche perchè traggono radice dai principi costituzionali e comunitari: tali principi (quali la concorrenza, la trasparenza, il buon andamento della Pubblica Amministrazione, ecc.) sarebbero eccessivamente compressi se, pur rispettando la predilezione del legislatore per le procedure semplificate, non fosse possibile il ricorso alle procedure ordinarie.
2.2 In secondo luogo, l’argomento secondo cui l’art. 50 ha natura derogatoria non sarebbe conducente, sia perchè la norma derogante non abolisce la norma generale derogata, sia perchè, più radicalmente, non è nemmeno così chiaro che l’art. 50 sia in rapporto di deroga con l’art. 70. Le norme sul ricorso alle procedure ordinarie rimangono perfettamente valide ed efficaci ed escluderne l’applicabilità facoltativa da parte dell’Amministrazione equivarrebbe, sostanzialmente, ad una ingiustificata interpretatio abrogans parziale.
2.3 In terzo luogo, pur ammettendo e non concedendo che le norme sul ricorso alle procedure semplificate siano cogenti e quindi che possano ritenersi violate in caso di adozione di procedura diversa proconcorrenziale, risulterebbe difficile immaginare le conseguenze giuridiche concrete di tali eventuali violazioni. Le conseguenze immaginabili astrattamente sarebbero essenzialmente due:
- a) l’illegittimità della procedura di affidamento;
- b) la configurabilità della responsabilità erariale per chi decide il sistema di affidamento.
La conseguenza sub a), oltre a porsi contro lo stesso principio di legalità (che si riverbera, ad es., nel principio di tassatività delle cause di invalidità), è esclusa proprio da recente giurisprudenza (citata e commentata proprio da Luigi Olivieri).
La conseguenza sub b) sarebbe esclusa, sostanzialmente, dal fatto che la responsabilità erariale postula un giudizio di disvalore dell’intera condotta dell’agente, difficilmente configurabile per chi invece scegliesse una procedura più garantistica per la concorrenza (ma anche a finalità anticollusiva ed anticorruttiva), proprio per la maggiore pregnanza assiologica della procedura stessa.
2.4 In quarto luogo, in concreto è tutt’altro che dimostrato che la procedura semplificata garantisca un’abbreviazione apprezzabile dei tempi di affidamento, tale da giustificare la compressione del principi sopra citati. In un articolo, in particolare, si confronta addirittura l’affidamento diretto con la procedura aperta: dagli esiti di tale confronto si può cogliere come la stessa procedura aperta può essere svolta ricorrendo ad istituti che snelliscono e velocizzano la procedura aperta (ad es. l’inversione procedimentale e il dimezzamento dei termini di presentazione delle offerte) e, dunque, il reale vantaggio in termini di tempestività sfumerebbe, o sarebbe comunque attenuato.
3. Per una tesi complessa
Dopo aver sommariamente elencato (con tutti i limiti sopra indicati) le argomentazioni poste a fondamento della tesi positiva e della tesi negativa ed avendo inoltre partecipato a vari dibattiti informali sulla questione, svolgo ora alcune considerazioni più “mature” rispetto a quanto osservato nella “pillola” di cui sopra, che, ribadisco, aveva una finalità divulgativa e voleva essere il più possibile aderente a quanto risultante a primo acchito dal testo normativo, tra l’altro per come interpretato para-autenticamente dal Consiglio di Stato redigente il testo del codice (para-autentica perchè la relazione di accompagnamento ha una valenza indubbiamente superiore a quella dei lavori preparatori, ma minore rispetto a quella di una legge di interpretazione autentica: di questo però ci occuperemo in un successivo articolo).
La tesi più matura che mi sento di propugnare in questo articolo è una tesi intermedia, nel senso che è possibile ricorrere alle procedure ordinarie anche al di là delle ipotesi di cui all’art. 50 c. 1 lett. d), previa però adeguata e specifica motivazione.
L’iter argomentativo è complesso e si articola in vari passaggi, che preferisco scandire in vari sottoparagrafi per facilitarne la comprensione.
3.1 L’art. 50 ha con certezza natura derogatoria rispetto all’art. 70?
Ad un’analisi attenta, l’art. 48 c. 4 non afferma propriamente che le disposizioni di cui alla parte I del libro II (artt. 48-55) abbiano natura di “deroga“, ma utilizza un’espressione diversa, ovvero che ” […] ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice […] “.
Facciamo innanzitutto una breve parentesi sulla nozione di deroga: è una nozione strutturalmente relazionale e, in quanto tale, presuppone l’efficacia delle entità normative poste in rapporto di deroga.
La deroga è una relazione internormativa tra una norma derogante ed una norma derogata, che si ha quando sussiste un rapporto di antinomia tra una norma speciale ed una norma generale.
Benché la deroga sia una nozione normativamente neutra (nella misura in cui non reca coessenzialmente la decisione in ordine alle modalità di risoluzione/composizione dell’antinomia), solitamente quando si parla di deroga si allude al fatto che l’antinomia debba essere risolta in favore della norma derogante. Si tratta tuttavia di una risoluzione non demolitiva, nel senso che la norma recessiva rimane nell’ordinamento; in caso di antinomia tra norme poste su livelli gerarchici diversi, invece, la risoluzione dell’antinomia è solitamente demolitiva, nel senso dell’annullamento giurisdizionale di quella inferiore.
Ricorrendo alle figure consegnateci dalla teoria generale del diritto e dalla filosofia del diritto, l’art. 48 c. 4 fa parte delle c.d. “metanorme” (cioè norme che disciplinano rapporti tra norme) ed in particolare di quella speciale classe di metanorme che si occupa delle modalità di risoluzione/composizione delle antinomie normative.
Torniamo quindi all’art. 48 c. 4 , valorizziamo la sintassi ivi utilizzata ed ordiniamo diversamente le proposizioni che lo compongono: “Le disposizioni del codice si applicano se non derogate dalla presente Parte“.
Si tratta di un periodo ipotetico ed il riferimento alla deroga è presente nella c.d. protasi, cioè nella proposizione introdotta dal “se..“.
L’art. 48 c. 4, quindi, sembra disporre che, in caso di antinomia tra una norma della parte I del libro II e un’altra norma del codice, va applicata la prima. La peculiare figura di antinomia di cui trattasi è, per l’appunto, la deroga, cioè quell’antinomia che vi sarebbe tra le norme di cui alla parte I del libro II e le norme restanti del codice: le prime sarebbero “speciali” rispetto alle seconde (le quali sarebbero invece “generali“), perchè le prime si applicano ai soli appalti sotto-soglia comunitaria ed hanno quindi un ambito di applicazione che rientra interamente in quello delle seconde non esaurendo l’ambito di applicazione di queste ultime (in matematica, l’immagine efficace è quella del c.d. sottoinsieme proprio).
L’art. 48 c. 4, quindi, a ben vedere:
- prescrive che, se vi è antinomia (della particolare specie della “deroga“), allora si applica la norma di cui alla parte I del libro II;
- nel condizionare l’applicazione delle restanti norme del codice all’assenza di antinomia (della particolare specie della “deroga“), implicitamente ammette la possibilità che una o più norme della parte I del libro II non si pongano in rapporto antinomico con le altre norme del codice;
- conseguentemente, non attribuisce, ex se, natura derogatoria alle norme della parte I del libro II.
3.2 Quando effettivamente sussiste un’antinomia? A) Il piano testuale-strutturale
Occorre, quindi, stabilire quando effettivamente un’antinomia sussiste.
E, al fine di compiere questo passaggio logico, va innanzitutto rilevato che l’antinomia rappresenta un momento di frizione, di tensione, di incoerenza (anche quando programmata) all’interno di un ordinamento giuridico, che va il più possibile prevenuto all’insegna del meta-principio di conservazione degli atti normativi (si v. ad es. la giurisprudenza costituzionale in merito alla necessità di ricerca dell’interpretazione costituzionalmente conforme).
Si faccia ora l’esempio dell’art. 55 c. 2 (“I termini dilatori previsti dall’articolo 18, commi 3 e 4, non si applicano agli affidamenti dei contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea“) e gli artt. 18 cc. 3 e 4 relativi ai termini dilatori.
Qui l’antinomia è palese, perchè si prescrive espressamente che il rispetto di tali termini negli appalti sottosoglia non sussiste. Nell’art. 18 cc. 3-4 vi sono infatti obblighi che l’art. 55 c. 2 espressamente nega: c’è un’antinomia perchè si verifica, sul piano logico-formale (v. il c.d. “quadrato aristotelico delle opposizioni“), un rapporto di contraddittorietà, non essendo infatti compossibili due discipline che, in relazione allo stesso caso, prescrivano l’una l’assenza di un obbligo, e l’altra la presenza di un obbligo.
Questo è un caso classico, ma pur in questo caso classico, l’antinomia è relativa al solo momento della sussistenza dell’obbligo, perchè invece l’assenza dell’obbligo di un comportamento non implica l’obbligo di non tenerlo: in logica deontica, il non obbligo (¬Obbl) è strutturalmente diverso dal divieto, che si rende con la figura dell’obbligo che non (Obbl¬).
Sulla base del solo art. 55 c. 2, infatti, se da un lato sicuramente non potremmo rimproverare all’Amministrazione di non avere rispettato i termini dilatori di cui all’art. 18 cc. 3 e 4 in un appalto sotto-soglia, dall’altro non avremmo nemmeno titolo per rimproverare all’Amministrazione di aver comunque atteso per un periodo corrispondente ai termini di cui agli artt. 18 cc. 3 e 4. L’ultima condotta potrà magari essere rimproverabile ex art. 17 c. 10, ma si tratta di una fonte esogena rispetto alle norme in rapporto di deroga e, per ora, è importante comprendere che la portata della deroga e dell’antinomia (anche quando sussistono) è, sul piano strutturale, più contenuta di quanto si pensi.
Andiamo, ora, all’art. 50 c. 1.
Non abbiamo, innanzitutto, un’antinomia rilevabile come nell’art. 55 c. 2 (dove appunto, sul piano logico-formale, si rilevava un rapporto di contraddittorietà). Per verificare l’esistenza di un’antinomia dobbiamo quindi cominciare ad effettuare una valutazione di compatibilità degli effetti giuridici previsti dall’art. 50 c. 1 e quelli previsti dall’art. 70.
L’art. 50 c. 1 lett. a), prescrive che per lavori fino ad € 150.000 l’Amministrazione debba ricorrere all’affidamento diretto, mentre l’art. 70 definisce in generale le procedure ordinarie, tra cui non ricorre l’affidamento diretto.
Se l’Amministrazione ricorre all’affidamento diretto, allora non ricorre alla procedura aperta: affidamento diretto e procedure ordinarie non sono quindi compatibili, nella stretta misura (di natura prettamente logica) in cui o ricorre all’affidamento diretto, o alla procedura aperta.
Ciò, però, non vale ancora ad affermare l’esistenza di un’antinomia, e quindi di una deroga.
Occorre allora comprendere correttamente la qualificazione deontica del ricorso alle procedure ordinarie ed all’affidamento diretto.
L’art. 50 c. 1 lett. a) prescrive l’obbligatorietà dell’affidamento diretto (l’uso dell’indicativo “procedono” è significativo in tal senso). Non vi è un divieto espresso di ricorrere alle procedure ordinarie, ma siamo comunque nella piena fase pubblicistica, che è dominata dal principio di legalità e quindi, al contrario, l’Amministrazione non ha il pòtere di fare ciò che non viene previsto da una norma attributiva del potere.
L’art. 50 c. 1 lett. a) attribuisce il potere amministrativo di ricorrere all’affidamento diretto, ma non il potere di ricorrere alle procedure ordinarie.
E quindi, sì, ad un’analisi testuale-strutturale, l’antinomia tra art. 50 c. 1 e l’art. 70 sussiste e, in base a quanto prescritto dall’art. 48 c. 4, va risolta a favore dell’art. 50 c. 1.
Melius, questo esito sussiste interpretando letteralmente le disposizioni.
3.3 Quando effettivamente sussiste un’antinomia? B) Il piano assiologico-sostanziale
Tuttavia, benchè vi sia una primazia del criterio letterale rispetto a quello teleologico (di recente affermata in plurime circostanze in sede di nomofilachia), è anche vero però che un’interpretazione compiuta di una disposizione non possa non tener conto del versante assiologico-sostanziale.
Viene allora il rilievo l’art. 4 del codice, che detta una specifica disposizione riguardo l’interpretazione delle disposizioni codicistiche.
“Le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3″, ovvero gli articoli aventi ad oggetto il principio del risultato, il principio della fiducia e il principio dell’accesso al mercato.
Come ogni disposizione, l’art. 4 va a sua volta interpretato.
Vi è innanzitutto un significato prescrittivo evidente: i casi dubbi, in cui la testualità conduce obiettivamente a differenti oscillazioni interpretative, vanno risolti ricorrendo ai tre principi (su come, poi, ciò possa effettivamente avvenire, è necessario ben più di un approfondimento tecnico, di cui mi riservo di parlare in successivi articoli).
Vi è, poi, un significato prescrittivo un po’ più sfumato. La disposizione X del codice si applica ad un caso concreto Y non semplicemente se questo rientra nella fattispecie astratta della disposizione X (ed ha eventualmente superato positivamente eventuali contrasti normativi), ma anche in quanto l’applicazione della disposizione X al caso concreto Y sia effettivamente (e quindi proprio in relazione allo stesso caso concreto) funzionale al dispiegamento dei principi di cui agli artt. 1, 2 e 3 o, comunque, non vada proprio in senso contrario agli stessi.
Questa discesa nel caso concreto è, a parer mio, imprescindibile in virtù di almeno due considerazioni.
La prima considerazione ha natura prettamente tecnico-strutturale e discende dall’evoluzione, sia teorico-generale che giurisprudenziale, della stessa nozione di “applicazione di una norma“. Sinteticamente, una norma è applicata non ex se, non come monade leibniziana in veste normativa, ma in quanto espressione di un ordinamento giuridico. In altri termini: più che parlare di “applicazione di una norma“, dovremmo parlare di “applicazione di un ordinamento giuridico attraverso una norma“. L’ordinamento giuridico, cioè, converge nel caso concreto attraverso quella norma, ma lo fa nella sua totalità e complessità assiologica, cosicché non può mai essere negata l’analisi in concreto della funzionalità dell’effetto giuridico concreto ai principi cui è ispirata la norma stessa.
La seconda considerazione riguarda invece la particolare plasticità della disciplina nazionale e comunitaria in materia di contratti pubblici. Quanto detto prima sull'”applicazione di una norma” vale già per i sistemi di civil law, come quello italiano, ma vale ancor più per il diritto comunitario e le discipline, proprio come nel caso dei contratti pubblici, di stretta derivazione comunitaria.
Nel diritto comunitario, infatti, si tende a rifuggire da regole stringenti e/o fisse, mentre si predilige la ricerca della regola del caso concreto. Si pensi, ad es., alle pronunce della CGUE sull’illegittimità comunitaria delle disposizioni nazionali che pongono un limite fisso percentuale alla subappaltabilità, o alla procedura d’infrazione che riguarda il divieto assoluto di partecipazione alla medesima gara dell’impresa ausiliaria e dell’impresa che si avvale dei requisiti: in questi casi, infatti, l’illegittimità consisterebbe nel fatto che bisognerebbe sempre consentire una verifica caso per caso.
Il nuovo codice dei contratti ha infatti una struttura molto elastica che si ritrova non tanto e non solo nel superamento di alcuni divieti del precedente codice (si v. ad es. il combinato disposto dell’art. 95 c. 1 lett. “d” e l’art. 67 c. 4, II periodo riguardo la partecipazione ad una medesima gara di un soggetto sia autonomamente, sia come consorziata esecutrice, o ancora l’art. 95 c. 1 lett. “b” in materia di conflitto d’interessi), ma anche e soprattutto nella diversa architettura. Ben 18 articoli sono dedicati ai principi, distinguendosi tra l’altro tra il titolo I, rigurdante i “principi generali” (artt. 1-12) e il titolo II, che presenta svariate norme puntuali, ma pur sempre contenute nella parte I del libro I, rubricata per l’appunto “Dei principi“.
La chiave interpretativa viene data proprio dall’art. 1 (dedicato al tanto declamato principio del risultato), che al comma 4 statuisce espressamente che ” […] Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto […] “.
L’art. 1 c. 4, quindi, presenta il Codice come un apparato di regole che, quand’anche dettagliate, vanno calate nella dimensione concreta e particolare delle singole vicende amministrative non come una gabbia soffocante, ma piuttosto come uno strumento per farle respirare.
Nell’art. 1 c. 4, quindi, sembra tralucere l’idea che il grado di predeterminazione e controllo normativi delle singole fattispecie concrete sia più attenuato e che le singole norme, quindi, vadano intese più come strumenti, perimetri, modelli di azione adattabili situazionalmente, che come regole di condotta specifiche, cogenti, roboticamente applicabili.
Per comprendere ancora meglio questo cambio di approccio, basti pensare che in un modello rigido, tipico di civil law, non si direbbe mai in un testo normativo che la regola del caso concreto debba essere individuata alla luce di un principio:
- perchè l’individuazione della regola del caso concreto, infatti, è semplicemente il frutto della sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta che lo regola;
- perchè il procedimento sussuntivo è qualcosa che viene dato per presupposto nella stessa cultura giuridica di civil law.
Qui, invece, il legislatore sembra volersi spingere a dire l’opposto, e cioè che la predeterminazione normativa non conduce, ex se, a determinare concretamente gli effetti giuridici applicabili: occorre invece un ultimo passaggio di costruzione della dimensione effettuale concreta, che è dato appunto dalla necessità di verificare se, concretamente, la soluzione del caso concreto offerta dalle norme di dettaglio sia effettivamente funzionale ai principi che quelle norme di dettaglio astrattamente vanno a specificare e sottospecificare.
3.4 Primi approdi argomentativi
Giungiamo quindi ad alcuni approdi argomentativi:
- l’art. 48 c. 4 e, per converso, l’art. 50 c. 1, non possono essere interpretati disgiuntamente dagli artt. 1, 2 e 3 del codice;
- in particolare, orientare l’interpretazione dell’art. 50 c. 1 e dell’art. 48 c. 4 in virtù dell’art. 1 significa tener conto della regola del caso concreto;
- tener conto della regola del caso concreto significa verificare, concretamente, se effettivamente rispetto allo specifico caso concreto l’applicazione degli artt. 48 c. 4 e 50 c. 1 sia funzionale ai principi di cui agli artt. 1, 2 e 3.
Ora, se l’interpretazione dell’art. 48 c. 4 e dell’art. 50 c. 1 risente di una verifica del caso concreto , allora non può parlarsi in astratto di un’antinomia e, quindi, di una deroga.
La valutazione sulla esistenza o meno di una deroga diventa quindi una partita che si gioca sul terreno dinamico, pratico ed empirico del caso concreto, non solo su quello statico e tendenzialmente teorico/teoretico del ragionamento astratto-normativo.
Ritorniamo dunque alla domanda: “l ‘art. 50 c. 1 ha sempre portata derogatoria rispetto all’art. 70?”
La risposta è no.
La valutazione dipende da una valutazione del caso concreto: ed è, precisamente, una valutazione di funzionalità.
Occorre, cioè, valutare se l’adozione delle procedure di cui all’art. 50 c. 1 al caso concreto sia talmente così preferibile rispetto alle procedure ordinarie da escludere radicalmente l’adottabilità di queste ultime, o comunque, ad un livello minore, se l’adozione delle procedure semplificate non sia addirittura disfunzionale rispetto agli artt. 1, 2 e 3.
3.5 La valutazione di funzionalità
Scendere nel caso concreto al fine di effettuare tale valutazione di funzionalità comporta uno sforzo non indifferente, ma non impossibile: considerazioni come quelle svolte da Olivieri riguardo il confronto effettivo tra tempi degli affidamenti diretti e tempi delle procedure aperte colgono comunque pienamente nel segno, anche e soprattutto sul piano metodologico, perchè indicano alcuni dei passaggi analitici che devono comporre la valutazione stessa di funzionalità.
Si faccia un primo esempio riguardo un appalto di lavori, di importo pari ad € 900.000, in una categoria specialistica con pochi soggetti qualificati. L’art. 50 c. 1 lett. c) ci dice che dovremmo svolgere una procedura negoziata, ma occorre innanzitutto procedere ad una scelta degli operatori economici, che non può essere effettuata tramite sorteggio ai sensi dell’art. 50 c. 2 e, quindi, deve essere effettuata:
- attingendo da elenchi di operatori economici;
- mediante indagine di mercato.
E’ possibile attingere da elenchi di operatori economici, tuttavia, se si è in possesso di elenchi che soddisfino le prescrizioni dell’art. 3 dell’allegato II.1 e si sia strutturato un effettivo sistema di rotazione, sulla scorta dei criteri che rispettano quanto previsto al relativo comma 4.
Non è così scontato che ciò avvenga, perchè non è così scontato che gli elenchi ad oggi esistenti abbiano le caratteristiche predette e, soprattutto, non è così scontato che i criteri oggettivi al momento applicati siano compatibili con il nuovo Codice (che esclude, come già visto, proprio il sorteggio).
L’Amministrazione deve ricorrere allora all’indagine di mercato, che però si sostanzia in una procedura bifasica, complessificata dal fatto di individuare criteri oggettivi per la selezione delle imprese da invitare. Tali criteri, a differenza di quelli relativi agli elenchi, devono essere molto più precisi e stringenti, perchè, sul piano empirico-sociologico, una cosa è non invitare un soggetto semplicemente presente in un elenco, altra cosa è non invitare un soggetto che ha già manifestato l’interesse ad essere invitato.
Le Amministrazioni, allora, anche per evitare la violazione del principio di rotazione (si v. l’art. 49 c. 5), potrebbero non porre limiti al numero di operatori economici in possesso dei requisiti richiesti da invitare alla successiva procedura negoziata.
Di fatto, quindi, avremmo una procedura aperta, chiamata procedura negoziata, con l’aggravamento procedurale della previa indagine di mercato.
Siamo quindi veramente sicuri che in casi del genere (e sono tanti, ma tanti davvero) insistere sulla procedura negoziata sia veramente funzionale al principio di tempestività, che è tra l’altro una componente del principio del risultato?
In casi del genere, la valutazione di funzionalità dà esito negativo e, pertanto, l’art. 50 c. 1 lett. c) non deroga all’art. 70.
La valutazione di funzionalità, tra l’altro, non concerne il solo profilo della tempestività, sebbene sia quello più esaltato mediaticamente, ma anche normativamente (si pensi all’all. 1.2 che disciplina i tempi massimi delle procedure di affidamento).
La valutazione di funzionalità, infatti, investe massimamente anche l’altra componente del principio del risultato, ovvero il rapporto qualità/prezzo.
Non ammettere le procedure ordinarie significherebbe, ad es., rinunciare anche a procedure peculiari, come il partenariato per l’innovazione, i cui presupposti possono ben riscontrarsi nella pratica amministrativa.
Valga ora questo secondo esempio.
Se l’Amministrazione avesse esigenze per le quali non vi sono “soluzioni disponibili sul mercato“, non potrebbe immediatamente procedere ad un affidamento diretto o ad una procedura negoziata, i quali invece presuppongono che alla base del contratto vi sia già un progetto completo in ogni sua parte. In un caso del genere, negare il ricorso alle procedure ordinarie significherebbe impedire proprio lo stesso intervento pubblico.
Facciamo, però, un terzo esempio, relativo a un casi molto più frequente nella pratica, ovvero di un appalto particolarmente complesso, che richiede un confronto attraverso il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e lascia presagire all’Amministrazione che gli elenchi presenti (che spesso, non neghiamolo, hanno una forte componente territoriale) non garantiscano una piena competitività.
In tal caso, la procedura aperta diventa lo strumento direttamente rivolto al perseguimento del miglior rapporto qualità/prezzo.
Valga infine un quarto esempio, (avverto fin da subito: provocatorio), che riguarda il principio della fiducia.
Questo principio (la cui struttura e natura giuridica necessiterebbe di un capitolo a parte) sembra essere rivolto non solo a chi opera con il Codice, ma anche e soprattutto a chi lo guarda dal di fuori: sembra cioè veicolare un invito generale a “fidarsi” della Pubblica Amministrazione, perchè questa fiducia (non incondizionata, sia chiaro) è necessaria per uno sviluppo armonico dell’economia e della società italiana.
La fiducia, tuttavia, appartiene al c.d. foro interno, che da Hobbes in poi non può essere raggiunto dalla normatività.
Il principio della fiducia, allora, opera normativamente, a mio modo di vedere, nel senso che il comportamento della P.A. debba essere tale da migliorare la percezione che la collettività ha dell’operato della P.A..
A mio modo di vedere, una procedura aperta potrebbe essere estremamente auspicabile in relazione ad appalti in cui, contemporaneamente, la tempestività dell’intervento non assume particolare importanza e il contesto socio/ambientale/istituzionale di riferimento è particolarmente disagiato ed è caratterizzato da un bassissimo livello di fiducia nell’Amministrazione.
3.6 Come configurare il rapporto tra l’art. 50 c. 1 e l’art. 70, una volta verificata l’assenza di una deroga?
Chiarito quindi che, in taluni casi, l’art. 50 c. 1 non deroga all’art. 70, verrebbe quindi da dire, semplicemente, che, mancando il presupposto di cui all’art. 48 c. 4, allora deve essere applicato l’art. 70 (l’art. 48 c. 4 statuisce infatti che ” […] Ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice […] “).
Questa, però, sarebbe una lettura che sconterebbe le stesse rigidità che affettano, a mio parere, la stessa interpretazione strutturale-testuale dell’art. 48 c.
La lettura che mi sento di propugnare è che, sostanzialmente, quando non ricorre un rapporto di deroga, i modelli di azione di cui all’art. 50 c. 1 e di cui all’art. 70 diventano invece compresenti ed alternativi.
Non è affatto nuova, nel nuovo Codice, la strutturazione del rapporto tra modelli organizzativi in termini di alternatività.
Si v. ad es. l’art. 6 (“Principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale. Rapporti con gli enti del Terzo settore”), riconfigurato, come affermato proprio dallo stesso Consiglio di Stato nella Relazione di accompagnamento, come “alternativo” e non più “derogatorio“.
Si pensi, ancora, al più generale art. 7 c. 1, che pone su un piano di tendenziale parità i modelli dell'”auto-organizzazione“, dell'”esternalizzazione” e della “cooperazione“.
La compresenza e l’alternatività dell’art. 50 c. 1 e dell’art. 70, tuttavia, non può essere strutturata in termini assolutamente paritari, perchè se così fosse oblitereremmo i termini imperativi con cui le procedure ex art. 50 c. 1 sono indicate nel codice.
Il legislatore ha infatti chiaramente compiuto un giudizio di preferenza della procedura semplificata rispetto a quella ordinaria: questo aspetto non può essere negato del tutto, ma al contempo può essere attenuato, nel senso che il giudizio di preferenza va sempre poi posto alla prova dei fatti.
3.6 Conseguenze pratiche
Negli appalti sotto-soglia, la stazione appaltante dovrebbe effettivamente verificare se la procedura da adottare ai sensi dell’art. 50 c. 1 sia funzionale ai principi di cui agli artt. 1, 2 e 3 (con speciale riferimento all’art. 1).
L’esito negativo di tale verifica impone alla stazione appaltante di valutare la scelta di una diversa procedura, la quale va calibrata proprio nei termini di una maggiore funzionalità (che a parer mio può anche semplicemente essere essa stessa semplificata: ad es. una procedura negoziata in luogo di un affidamento diretto).
Tanto l’esito negativo della verifica, quanto la scelta della procedura “diversa“, vanno adeguatamente motivati.
Nell’ipotesi di esito negativo della verifica, in caso di mancata o incongrua motivazione della procedura diversa proconcorrenziale, o nel caso in cui la scelta della diversa procedura si sia rivelata nei fatti pienamente errata:
- è da escludere la conseguenza dell’illegittimità della procedura (richiamo interamente quanto osservato da Olivieri);
- potrebbe invece profilarsi la generica responsabilità del dipendente ai sensi dell’art. 1, c. 4, lett. a), secondo cui ” […] il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per: a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti […] “;
- più remota, ma comunque configurabile, è anche la responsabilità erariale (più remota perchè si richiede la sussistenza di un elemento soggettivo piuttosto pervasivo; è comunque configurabile perchè specie per quanto riguarda gli appalti del PNRR, la stessa Corte dei Conti ha già in alcune occasioni segnalato le eccessive lentezze della Pubblica Amministrazione).
In generale, però, non potrebbe rimproverarsi all’Amministrazione ex se la scelta delle procedure di cui all’art. 50 c. 1, in virtù proprio della non perfetta posizione paritaria tra i due modelli.
L’Amministrazione, tuttavia, potrebbe comunque ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 1 c. 4 lett. a), nel momento in cui nei fatti ad es. non si riuscisse a conseguire il risultato, non si riuscisse a rispettare i termini di cui all’allegato I.2 o, ancora, non si fosse in grado di rispettare quanto previsto dal codice su elenchi di operatori economici, indagini di mercato, criteri di individuazione dei soggetti cui affidare direttamente gli appalti, ecc..
4. Considerazioni finali
Il tema della possibilità di discostarsi in senso pro-concorrenziale dalle procedure semplificate di cui all’art. 50, c. 1, lettere a), b), c) ed e) è estremamente complesso e difficilmente può essere affrontato in senso avalutativo, soprattutto perchè la precedente esperienza codicistica (che pur prevedeva l’uso di procedure semplificate, seppur con soglie inferiori) è nata, maturata e vissuta (almeno fino all’entrata in vigore del D.L. 32/2019) in un contesto sociologico, ancor prima che giuridico, che esaltava massimamente il principio di concorrenza e guardava con un certo sospetto il ricorso a procedure diverse dalla procedura aperta (la stessa procedura ristretta, quale procedura ordinaria, non ha mai goduto di un particolare successo in Italia).
Tale contesto generale che ha indotto la Pubblica Amministrazione, investita da strali ed invettive di ogni genere, a prediligere molto spesso la procedura aperta, perchè più rassicurante (almeno in teoria). Scoprire quindi che, almeno su un piano letterale-testuale, l’art. 50 c. 1 negherebbe il ricorso alle procedure ordinarie è certamente spiazzante, soprattutto perchè, se è vero che il contesto assiologico del nuovo codice è cambiato (fiducia e risultato sono i pilastri del nuovo ordinamento codicistico), è anche vero che il contesto sociologico è rimasto purtroppo profondamente sfiduciato (l’epidemia globale e la guerra in Ucraina sono eventi di gravità incalcolabile che minano carsicamente la fiducia dei cittadini nei confronti del potere politico ed amministrativo).
La tesi qui proposta, secondo cui in sostanza l’art. 50 c. 1 e l’art. 70 costituiscono negli appalti sottosoglia due modelli in rapporto non paritario di compresenza ed alternatività, tenta di accompagnare questo processo di transizione anche socio-culturale verso l’assetto di valori propugnati dal nuovo Codice.
Tale processo di transizione socio-culturale, tra l’altro, sarà facilitato da un’adeguata preparazione tecnica delle Pubbliche Amministrazioni.
Se queste, infatti, sapranno dotarsi in breve tempo di elenchi di operatori economici compiutamente strutturati e con un congruo numero di operatori economici, sapranno scegliere adeguate tecniche di rotazione e stabiliranno criteri chiari ed oggettivi per l’individuazione degli operatori economici (da invitare o cui affidare direttamente gli appalti), ecco che la procedura semplificata spaventerà di meno e la predetta valutazione di funzionalità, opportunamente contestualizzata, avrà sempre più spesso esito positivo.
Diversamente, non possiamo negarlo, il ricorso alle procedure ordinarie, ed alla procedura aperta in particolare, svolgerà un’importante funzione rassicurante, che l’ordinamento non può disconoscere.