Così recita l’art. 225 c. 8 D.lgs. 36/2023.
“In relazione alle procedure di affidamento e ai contratti riguardanti investimenti pubblici, anche suddivisi in lotti, finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC, nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea, ivi comprese le infrastrutture di supporto ad essi connesse, anche se non finanziate con dette risorse, si applicano, anche dopo il 1° luglio 2023, le disposizioni di cui al decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, al decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché le specifiche disposizioni legislative finalizzate a semplificare e agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR, dal PNC nonché dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018“.
Come si è sottolineato nelle battute finali di un precedente articolo (v. qui), l’iter di riforma della disciplina dei contratti pubblici è stato scandito dall’UE, la quale ha fissato gli obiettivi che l’Italia avrebbe dovuto raggiungere ai fini di una piena attuazione del PNRR. Eppure, nonostante questa precisa direzione teleologica (secondo cui quindi il nuovo codice dei contratti avrebbe svolto un ruolo proattivo per il PNRR), una delle ragioni poste a fondamento della richiesta (formulata variamente da più parti) di posticipare l’entrata in vigore (o comunque, l’efficacia) del nuovo Codice consisteva nella considerazione per cui, a ben vedere, il PNRR avrebbe al contrario subito dei ritardi cagionati proprio dall’entrata in vigore della nuova disciplina: come del resto l’esperienza passata suggerisce, si profilava infatti il rischio che l’introduzione di un nuovo paradigma normativo nei contratti pubblici genera un primo periodo di stallo e di attesa, da apprezzarsi perfino in termini di semestri o addirittura di annualità.
Il legislatore del D.lgs. 36/2023, tuttavia, ha inteso ovviare a questa stridente contraddizione dedicando, come già visto, il comma 8 dell’art. 225, al fine di “rassicurare” le stazioni appaltanti sulla possibilità di adottare regole già conosciute e/o metabolizzate già da qualche tempo (si v. in particolare il D.L. 77/2021).
L’art. 225 c. 8, tuttavia, pone qualche questione giuridica, che provo ad esporre e cui provo a fornire risposte.
La prima questione è sintetizzabile nei seguenti termini: poichè il D.L. 77/2021 concerne l’applicazione di norme del D.lgs. 50/2016, per questa specifica tipologia di appalti continuerà ad applicarsi in toto il D.lgs. 50/2016?
No.
In primo luogo, l’art. 225 c. 8 non prevede alcuna forma di ultravigenza del D.lgs. 50/2016 (diversamente da quanto avvenuto invece proprio nel comma successivo a proposito dell’art. 23 D.lgs. 50/2016 in materia di progettazione).
In secondo luogo, l’ambito applicativo delle disposizioni normative (tra cui il già citato D.L. 77/2021) riguarda le sole “procedure di affidamento” e i “contratti“. Questa perimetrazione dà la misura di come, almeno al di fuori del perimetro stesso, sia perfettamente efficace il D.lgs. 36/2023.
In terzo luogo, ci appare dirimente l’art. 226 c. 5 D.lgs. 36/2023, a mente del quale ” […] ogni richiamo in disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, o al codice dei contratti pubblici vigente alla data di entrata in vigore del codice, si intende riferito alle corrispondenti disposizioni del codice o, in mancanza, ai principi desumibili dal codice stesso […] “. In altri termini, non deve “preoccupare” il fatto che il D.L. 77/2021 rinvii al D.lgs. 50/2016, proprio perchè tali rinvii, secondo il nuovo Codice, devono intendersi per l’appunto riferiti alla disciplina oggi vigente.
La coesistenza del D.lgs. 36/2023 fa nascere, tuttavia, l’ulteriore problema di comprendere il rapporto tra le norme del nuovo Codice e quelle richiamate nell’art. 225 c. 8.
Nascono, in particolare, almeno una seconda ed una terza questione.
La seconda questione concerne l’esatta delimitazione semantica delle espressioni “procedure di affidamento” e “contratti“.
Si possono infatti adottare interpretazioni ora restrittive, ora estensive delle espressioni appena citate: le norme sulle “procedure di affidamento” potrebbero infatti intendersi come comprendenti anche quelle relative alle procedure di approvazione dei progetti, così come le norme relative ai “contratti” potrebbero intendersi come comprendenti anche quelle relative alla fase esecutiva dei contratti stessi.
La risposta che mi sento di proporre è di tipo non sostanziale, ma formale-topografico. Si pensi, in particolare, all’art. 48 D.L. 77/2021, rubricato “Semplificazioni in materia di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC“), ma contenente anche disposizioni non perfettamente rientranti nella nozione di “affidamento“: ad es. il comma 2 riguarda la nomina del responsabile unico del procedimento, mentre i commi 5-bis, 5-ter e 5-quater riguardano la fase di approvazione del progetto.
Adottando il criterio formale-topografico, che ritengo preferibile perchè sul piano pratico è preferibile non dissezionare le norme, l’articolo va applicato nella sua interezza in ragione del fatto che, se una disposizione è presente in un articolo dedicato formalmente all’affidamento, allora significa che il legislatore ha espresso un giudizio di funzionalità della disposizione stessa rispetto alla ratio di semplificare gli affidamenti.
Parimenti, la nozione di “contratto” va intesa come riferita anche alla fase esecutiva (con la conseguente applicazione della disciplina in materia di subappalto), anche perchè il legislatore vi dedica espressamente l’art. 50 D.L. 77/2021, quasi subito dopo l’art. 48 appena citato. Incidenter tantum, va rilevato che un problema forte di compatibilità starebbe invece nel conciliare il riferimento al responsabile unico del procedimento di cui al comma 2 con il responsabile unico di progetto di cui all’art. 15 D.lgs. 36/2023: un possibile sentiero risolutivo potrebbe ritrovarsi nel fatto che il RUP ex D.lgs. 50/2016 debba intendersi, per rinvio dinamico, quale il RUP ex D.lgs. 36/2023, ma il comma 2 sottolineerebbe la necessità che quei poteri vengano esercitati direttamente dallo stesso (con conseguente inapplicabilità della “delega” al responsabile di fase).
La terza questione riguarderebbe la sopravvivenza dei limiti temporali: diverse norme, infatti, hanno un ambito di applicazione temporale limitato.
Sul punto mi sento di fornire una risposta negativa: i limiti temporali non sussisterebbero, perchè altrimenti non si comprenderebbe il significato normativo dell’art. 225 c. 8.
In conclusione, l’art. 225 c. 8 D.lgs. 36/2023, nato per rassicurare e semplificare, rischia di confondere e complessificare, nonostante il dictum normativo sia comunque piuttosto chiaro.