La domanda che costituisce il titolo di questo articolo è un caso particolare del generalissimo tema (affrontato spesso dagli studiosi di teoria e filosofia del diritto) dell’interpretazione di disposizioni attraverso altre disposizioni. Non è certamente questa la sede per svolgere un’analisi che aspiri ad essere (anche solo minimamente) filologicamente e bibliograficamente completa: qui, tuttavia, si ritiene altamente opportuno veicolare il messaggio per cui, come vedremo, la risposta non è semplice, né oltremodo semplificabile, ma al contrario è altamente esposta ad oscillazioni, che dipendono essenzialmente dalle diverse tipologie di disposizioni messe a confronto e dalle diverse sfumature del caso concreto che ogni interprete tenderà a cogliere e valorizzare, o ritenere irrilevanti e sottovalutare.

Il tema, come si accennava, è antico.
L’interpretazione delle disposizioni normative è ben lungi dall’aver raggiunto un assetto teorico/pratico stabile ed è men che meno riducibile al binomio oppositivo interpretazione letterale/interpretazione teleologica. I canoni interpretativi sono in realtà svariati. Taluni sono di creazione giurisprudenziale, talaltri sono di creazione teorico/dottrinale, talaltri ancora vengono imposti normativamente e non sono seguiti, però, da un’applicazione effettiva: il catalogo tipologico potrebbe continuare ancora per molto, mentre il catalogo analitico non sarebbe contenibile facilmente in un trattato a più volumi.

In questo contesto da sempre pulsante e fibrillante, la tecnica interpretativa di usare una o più disposizioni A1, A2, …, An per interpretare una o più disposizioni B1, B2, …, Bn è ritenuta generalmente ammissibile e legittima: l’interpretazione sistematica, infatti, poggia proprio sulla valorizzazione di una o più disposizioni al fine di ridurre, plasmare, smussare, adeguare il significato di disposizioni le quali, se non fossero oggetto dell’opera di riduzione, smussamento, ecc., resterebbero al di fuori del sistema normativo.
L’interpretazione sistematica, in altri termini, è la tecnica principe per compattare, rendere coerente un ordinamento giuridico che, stando invece alla sola interpretazione letterale delle disposizioni, risulterebbe sfilacciato, contraddittorio, antinomico, incoerente, ecc..

L’interpretazione sistematica, tuttavia, è quasi sempre intesa in senso sincronico, nel senso che interviene sul complesso delle disposizioni che compongono l’ordinamento giuridico in un preciso momento temporale.
La domanda posta oggi, invece, riguarda il caso di disposizioni (da un lato il D.lgs. 50/2016, dall’altro il D.lgs. 36/2023) che, salvo le eccezioni relative alla fase transitoria (v. in particolare l’art. 225 D.lgs. 36/2023) non regolano contemporaneamente una stessa fattispecie giuridica.

Dal piano sincronico ci si deve pertanto spostare sul piano diacronicoil quale va sdoppiato nei due casi:
i) dell’interpretazione di una disposizione posteriore attraverso una anteriore;
ii) dell’interpretazione di una disposizione anteriore attraverso una posteriore.

L’ipotesi sub i) è frequentissima: l’interprete, in altri termini, interpreta la disposizione posteriore verificando in cosa abbia innovato rispetto a quella anteriore.
Il caso classico, molto agevole a comprendersi, è quello in cui l’interprete, rilevando l’identità del tenore testuale delle stesse disposizioni (si pensi, ad es., all’art. 102, c. 6, ultimo periodo, D.lgs. 50/2016 e all’art. 116, c. 4, ultimo periodo D.lgs. 36/2023, sulla possibilità di esternalizzare l’incarico di collaudatore statico), tende ad interpretare la nuova disposizione similmente alla precedente: nelle sentenze viene infatti spessissimo richiamato un precedente giurisprudenziale su una vecchia formulazione per interpretare la disposizione con la nuova formulazione.

L’ipotesi sub ii), invece, sembra essere negata in linea di principio, perché sarebbe violato ciò che i fisici chiamano “freccia del tempo” e i giuristi chiamano “principio di irretroattività“: enucleare un significato (pur possibile) di una disposizione anteriore in base alla disposizione successiva, infatti, equivarrebbe a violare comunque detto principio, perchè l’interpretazione poggerebbe su un elemento normativo ancora non esistente.

In realtà il discorso è molto più complesso, perchè bisogna ad esempio considerare il caso in cui la disposizione successiva costituisce, al contrario, la manifestazione espressa di un orientamento interpretativo della disposizione precedente.
Il nuovo Codice ha una genesi chiaramente giurisprudenziale, in quanto redatto formalmente proprio da una Commissione Speciale presso il Consiglio di Stato.
Il nuovo Codice, in altri termini, nasce dalle ceneri del precedente: per quanto appaia profondamente diverso nella struttura e nell’apparato assiologico, il nuovo Codice è figlio sicuramente di una maturazione di sensibilità e di approcci formatasi proprio in sede interpretativa del vecchio Codice e, pertanto, questo legame interpretativo non può essere negato in linea di principio.

Ed andiamo, finalmente, nella domanda che dà il titolo a questo articolo.

E’ particolarmente interessante un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato n. 7870 del 21 agosto 2023, nella quale il Collegio afferma testualmente quanto segue.

Quand’anche si intenda dilatarne al massimo la portata (in certo modo filtrando – con non abusiva operazione esegetica, ben fondata su un ragionevole canone di ordine teleologico – l’interpretazione dell’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50/2016 con la più ariosa prospettiva dischiusa, in termini solo parzialmente innovativi, dall’art. 101 del d.lgs. n. 36/2023), si dovrà, in ogni caso, puntualizzare, sotto un profilo funzionale, la necessaria distinzione tra:

a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art. 101 d. lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9), che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo economico), sempreché non si tratti di documenti bensì non allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo virtuale dell’operatore economico);

b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme dall’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50), che consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa (con il limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco domande inammissibili);

c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), che – recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale – abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell’offerta tecnica e/o dell’offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica;

d) soccorso correttivo (comma 4): che, in realtà, a differenza delle altre ipotesi – rispetto alle quali si atteggia, peraltro, a fattispecie di nuovo conio, come tale insuscettibile, almeno in principio, di applicazione retroattiva – prescinde dall’iniziativa e dall’impulso della stazione appaltante o dell’ente concedente (sicché non si tratta, a rigore, di soccorso in senso stretto), abilitando direttamente il concorrente, fino al giorno di apertura delle offerte, alla rettifica di errori che ne inficino materialmente il contenuto, fermo il duplice limite formale del rispetto dell’anonimato e sostanziale“.

Nella sentenza, che riguarda una fattispecie in cui non è applicabile il D.lgs. 36/2023, si “vede” l’art. 101 D.lgs. 36/2023 per verificare la portata normativa dell’art. 83 c. 9 D.lgs. 50/2016, che viene così dilatata al massimo  (“ […] in certo modo filtrando – con non abusiva operazione esegetica, ben fondata su un ragionevole canone di ordine teleologico – l’interpretazione dell’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50/2016 con la più ariosa prospettiva dischiusa, in termini solo parzialmente innovativi, dall’art. 101 del d.lgs. n. 36/2023 […] “), ferma però restando l’impossibilità di applicare retroattivamente l’ipotesi (“di nuovo conio”) della figura del soccorso correttivo.

In questa sentenza, quindi, troviamo già alcuni interessanti spunti: il filtro interpretativo della disposizione posteriore su quella anteriore è ammesso, purchè però non si giunga all’interpolazione posticcia di nuove ipotesi.
Si ripropone, così, l’eterna dialettica tra estensione del significato normativo e creazione del significato normativo: attraverso la seconda disposizione si può estendere il significato della prima, ma non lo si può creare.
A ben vedere, come si accennava prima, anche l’estensione del significato violerebbe il principio di irretroattività, proprio perchè la dilatazione del significato non sarebbe stata prevedibile al momento dell’azione. In sentenza è stato comunque adottato uno schema logico-teorico ben conosciuto e, come tale, certamente fecondo euristicamente: il margine di operatività dell’interprete e del giudice si spinge fino ad una dilatazione (o, al contrario, compressione) di significati, mentre la creazione e l’eliminazione sono situati al di là del consentito.

Vi è anche un’ulteriore pronuncia da considerare: si tratta della sentenza del TAR n. 13137 del 4 agosto 2023. 
Qui il motivo fondato sulla possibilità di superare alcune prescrizioni del D.lgs. 50/2016 – in virtù dei principi di risultato e di concorrenza per come declinati nel D.lgs. 36/2023 – viene liquidato recisamente già in sede espositiva del motivo stesso, nell’affermare la “non applicabilità alla procedura de qua” del D.lgs. 36/2023.
Qui, cioè, il Collegio si limita a richiamare l’inapplicabilità del D.lgs. 36/2023, probabilmente anche e soprattutto perché il motivo sarà apparso fin da subito fondato su motivazioni fragili: per quello che interessa in questa sede, tuttavia, è importante l’aver registrato un approccio che, molto nettamente, non ha dato a priori alcuno spazio argomentativo a tesi che muovono dal paradigma successivo del D.lgs. 36/2023.

Queste due pronunce danno già l’idea di quanto vasta e complessa potrà essere la casistica correlata alla forza argomentativa del D.lgs. 36/2023 come parametro interpretativo del D.lgs. 50/2016, sia per la varietà dei possibili esiti (dalla negazione della portata interpretativa alla massima dilatazione semantica), sia perchè gli stessi esiti sono certamente condizionati dalle peculiarità del caso concreto.

Conclusivamente, si tratta di una domanda a risposta apertissima: il cantiere delle possibili risposte è appena iniziato, e si profila particolarmente creativo.